Stefano Barone, fondatore del birrificio The Wall, racconta la filosofia di un progetto dove ogni birra è un’opera d’arte accessibile. Una nuova eccellenza da oggi nel portfolio Timossi.
Una nuova firma d’autore entra a far parte della selezione Timossi: è il birrificio The Wall, realtà lombarda (la sede è a Venegono Inferiore, in provincia di Varese) che si è distinta nel panorama artigianale italiano per una duplice e chiara identità.
Da un lato, birre concepite per essere godibili e accessibili; dall’altro, un progetto artistico che trasforma ogni lattina in un pezzo da collezione, grazie alla collaborazione con diversi artisti.
Dietro questa formula di successo c’è la storia di Stefano Barone, fondatore che ha saputo unire la sua esperienza nel mondo industriale dell’editoria con la creatività del settore brassicolo, dando vita a un brand oggi pronto a una nuova fase di crescita.
La storia di The Wall inizia nel 2014, ma la sua scintilla scocca prima.
Io di lavoro facevo altro e lo faccio ancora oggi, lavorando nel mercato dell’editoria – racconta Stefano Barone -. Preoccupato che il settore potesse andare in crisi per via dell’avvento del digitale, cercavo qualcosa di diverso. Poi ho visto come si faceva la birra ed è stato un amore a prima vista.
Da quell’epifania, il passo successivo fu coinvolgere la sorella, Annalisa, e partire per un’avventura in un mondo di cui non sapevano quasi nulla.
Non ero un grande appassionato, bevevo birra ma non avevo cognizione del mondo artigianale. Dopo una visita da Baladin, abbiamo fatto un corso, preso coraggio e siamo partiti.
Un muro aperto a tutti
Questa origine, quasi laterale rispetto ai percorsi classici dei birrai, ha infuso nel progetto una filosofia unica. L’idea di The Wall non è mai stata quella di creare birre complesse o estreme, ma di offrire un prodotto di altissima qualità che fosse, prima di tutto, democratico.
Le nostre birre cercano di essere di facile bevuta, non così complesse, quindi alla portata di tutti. Lavoriamo su un corpo abbastanza esile, proprio per facilitare la bevuta. Devono essere percepite come buone anche da chi non è un super appassionato.
Questa ricerca di accessibilità si sposa con un’identità visiva fortissima. Il nome stesso del birrificio è una dichiarazione d’intenti.
Nessuna citazione musicale dei Pink Floyd – sorride Barone -. Il nome è nato ancora prima di pensare al birrificio. Volevamo un’etichetta fatta da un artista, e quello che ci ha seguito fin dall’inizio, Max Gatto, è un writer. È stato facile poi chiamarlo The Wall, il muro.
Un muro inteso non come barriera, ma come tela. Un concetto così radicato che lo stesso Gatto ha graffitato le pareti dei locali del birrificio, rendendo l’arte un’esperienza immersiva.
Nella nostra idea, il muro deve essere qualcosa di aperto, dove tutti possano portare la loro arte. Per i nostri dieci anni abbiamo cambiato logo e quasi tutte le etichette. Siamo passati da un solo artista a quattro: oltre al nostro collaboratore storico Max Gatto, si sono uniti Francesco Poroli, Camilla Falsini e Nazario Graziano, e abbiamo dedicato a ognuno tre etichette differenti.
Questa scelta crea una diversità visiva che è il cuore della loro filosofia: un portfolio di dodici birre fisse che sono altrettante piccole opere d’arte.
La conversione alla lattina e le birre-manifesto
Il passaggio alla lattina, oggi veicolo privilegiato per questa esplosione artistica, è stato esso stesso un percorso di evoluzione.
Inizialmente ero uno degli oppositori – ammette Stefano -. Avevo paura che fosse una moda e che il prodotto non fosse qualitativamente paragonabile alla bottiglia, temendo un maggiore assorbimento di ossigeno. Poi, durante il Covid, per smuovere un po’ le acque, mi sono convinto. Adesso sono un grande fan, non tornerei più indietro.
Per chi volesse avvicinarsi al mondo di The Wall, Stefano Barone consiglia un percorso di degustazione che rispecchia l’anima del birrificio.
Per capire la nostra filosofia, suggerirei di partire dalla birra più semplice: la nostra Helles “RebHell”. Un grande classico dello stile tedesco, si presenta limpida, di colore dorato e con una schiuma candida. Al naso emergono note pulite di cereale, crosta di pane e un delicato sentore di miele. In bocca è equilibrata, morbida e con un finale secco che invita a un altro sorso. È una birra da 4,8 gradi, una birra per tutti. Proprio perché è semplice, non è facile da fare bene, e per noi è un biglietto da visita.
Per chi cerca un carattere più luppolato, la scelta cade sulla Peacock, una Session IPA da 4 gradi. Birra ambrata e fragrante, che sprigiona intensi profumi di frutta tropicale, agrumi e resina. Al palato è snella e rinfrescante, con un amaro deciso ma elegante che la rende pericolosamente facile da bere.
Infine, è impossibile non citare la Fire Witch, un’American IPA che è stata la prima birra prodotta e che ancora oggi rimane la più venduta. Icona del birrificio, è un’IPA dal colore ramato carico. Sprigiona note intense di pompelmo, pino e frutta esotica, tipiche dei luppoli americani. Il corpo maltato sostiene bene l’importante luppolatura, per un finale secco e piacevolmente amaro.
Il presente della birra artigianale
L’ingresso in un network distributivo come quello di Timossi arriva in un momento che Stefano Barone, forte della sua esperienza anche nella gestione di locali, definisce complesso per il settore.
Oggi avere dei locali non è semplicissimo. Negli ultimi anni il potere d’acquisto delle persone è sceso. Lo notiamo dai dati: a parità di fatturato, abbiamo incrementato del 20% l’afflusso di persone. Questo significa che la gente spende meno, mentre i costi salgono.
È una visione pragmatica, che non nasconde le difficoltà ma che, proprio per questo, valorizza ancora di più scelte strategiche come quella di The Wall: puntare su un prodotto riconoscibile, accessibile e di altissima qualità. La partnership con Timossi parte infatti dalle lattine, un formato dal forte impatto visivo capace di distinguersi a scaffale.