Riassunto
Birra Mastino ha scelto una strada controcorrente: birre a bassa fermentazione, rigore produttivo e costanza qualitativa. In dieci anni, Christian Superbi e Mauro Salaorni hanno costruito un birrificio agricolo che coltiva orzo e luppolo, premiato a livello internazionale e legato profondamente a Verona. Un modello che unisce tradizione, sperimentazione e una filiera tutta italiana.
Christian Superbi e Mauro Salaorni raccontano la loro ricetta per il successo: rigore d’ispirazione tedesca, costanza qualitativa e un profondo legame con la terra di Verona
Quando si pensa alla birra artigianale degli ultimi anni, la mente corre spesso a luppolature esuberanti, a sperimentazioni audaci, a un mondo in perenne e rumoroso fermento. Esiste però un’altra via al successo, più silenziosa ma non meno radicale, fatta di rigore, costanza e di un legame con la terra che va oltre il semplice nome sull’etichetta. È la via scelta da Birra Mastino, un birrificio che in dieci anni ha costruito la sua reputazione sulla scelta controcorrente di produrre birre a bassa fermentazione e che, oggi, controlla la sua filiera dal campo di orzo fino al bicchiere.
La storia di Birra Mastino, come la conosciamo oggi, inizia nel 2015 dall’incontro di due anime complementari. «È l’unione di due professionalità a dar vita a quello che è il Mastino attuale», racconta Christian Superbi, che guida il birrificio insieme al socio Mauro Salaorni. «Mauro si è sempre occupato di produzione, cominciò a fare birra in modo sperimentale nel locale di famiglia sulle colline veronesi. Io mi sono sempre occupato della parte commerciale, all’interno di aziende organizzate e multinazionali. Abbiamo unito le due esperienze e da lì è partito il progetto».
La scelta controcorrente: il rigore della bassa fermentazione
Fin da subito, la visione è stata chiara e in netta controtendenza rispetto al panorama nazionale. «Dieci anni fa abbiamo deciso di darci un’identità precisa: produrre birre a bassa fermentazione, di ispirazione tedesca o ceca», spiega Superbi. Un’altra chiave del loro rapido successo è stata l’applicazione di una mentalità strutturata a un mondo spesso istintivo. «Due elementi ci hanno permesso di raggiungere una distribuzione importante: la continuità di servizio e, soprattutto, la stabilità e continuità di gusto. Può sembrare una banalità, ma il cliente deve ritrovare la stessa Helles due mesi prima o due mesi dopo, non possono esserci sbalzi nel percepito. E questo avviene con un lavoro importante di ricerca sulle materie prime e standard produttivi elevati».
I gioielli di famiglia: le basse fermentazioni premiate
Questa filosofia ha prodotto birre diventate veri e propri punti di riferimento. La più rappresentativa è la Pils 1291, una Bohemian Pils premiata più volte come migliore d’Italia. Il suo successo è stato suggellato da una vittoria agli European Beer Stars di Norimberga, uno dei concorsi più importanti al mondo. «Abbiamo vinto in casa tedesca», sottolinea Superbi, «in una categoria dove tedeschi e cechi la fanno da padrone e dove si compete anche con i colossi industriali». «È una birra con caratteristiche distintive», continua, «dove prevalgono aspetti di aromaticità che vanno sull’erbaceo e sui fiori bianchi. A differenza di altre Pils, non fa emergere soltanto la parte amara, ma rivela aromi importanti di erba appena tagliata, per un gusto ricco e intenso». Accanto a lei, la Helles Cangrande, l’Amber Lager Monaco (medaglia d’oro al Beer&Food Attraction) e la potente Baltic Porter Teodorico da 9 gradi, una birra, come la definisce Superbi, “da meditazione”, anch’essa pluripremiata a livello nazionale e internazionale.
Un territorio da bere e da coltivare
Il legame con Verona non è solo una questione di stile, ma di identità profonda. Il nome “Mastino” si rifà alla figura più importante della casata degli Scaligeri, che governava la città nel Medioevo, e tutti i nomi delle birre seguono questo filo storico. Ma la vera consacrazione di questo legame è avvenuta circa cinque anni fa. «Siamo diventati birrificio agricolo», sottolinea con orgoglio Superbi. «Non siamo nati così, prima alzavo il telefono e compravo il malto. Oggi coltiviamo il 100% del nostro fabbisogno di orzo su dieci ettari di campi nostri e circa la metà del luppolo. Crediamo molto in questo aspetto. Parlare di birra artigianale italiana, secondo noi, significa parlare sia della produzione in Italia, sia delle mani del birraio, ma anche della materia prima che possibilmente sia locale».
Oltre la tradizione: l’anima sperimentale in lattina
Pur essendo riconosciuto come maestri delle basse fermentazioni, Mastino non ha mai smesso di esplorare. Per rispondere alle esigenze di mercato, hanno creato la linea “Hope”, dedicata alle birre ad alta fermentazione e luppolate, confezionate in lattina per distinguerle nettamente dalle classiche in bottiglia. «Abbiamo una American IPA, una Session IPA e una Light Neipa». La fantasia trova ulteriore sfogo nelle quattro One Shot stagionali, dove stili come Gose ai lamponi o birre di Natale permettono al birraio di sperimentare senza porsi limiti.
Questa capacità di unire il rigore teutonico alla creatività, la solidità di una filiera agricola controllata alla flessibilità di rispondere al mercato, rende Birra Mastino un partner ideale per una distribuzione attenta alla qualità. «Timossi per noi è un distributore importantissimo», conclude Christian. «Non solo per i numeri, ma per la struttura, le persone e per come trattano prodotti speciali come i nostri. Hanno una visione moderna che guarda sia ai grandi volumi sia alla grande attenzione per piccole realtà di qualità. E questo per noi è un valore aggiunto inestimabile».