Nel complesso mercato della birra, esiste un canale che più di altri rappresenta una sfida e un’opportunità per i produttori artigianali: la spina nei locali non specializzati. Per decenni, questo segmento è rimasto un territorio quasi esclusivo dei grandi marchi internazionali, complesso da approcciare per via di barriere logistiche e commerciali. È da questa analisi che nasce Open Hub, il nuovo progetto guidato da Teo Musso e Birra Baladin, pensato non come un’iniziativa isolata, ma come un modello operativo per creare un ponte solido tra il mondo brassicolo artigianale e la distribuzione Horeca.
Cos’è Open Hub e perché può cambiare il mercato della birra artigianale
L’idea prende forma nello stabilimento di Bernareggio (MB), acquisito nel 2022. Non si tratta di un sito produttivo aggiuntivo, ma di un hub concepito con uno scopo preciso e una specializzazione totale: la produzione esclusiva di birra in fusto. «Il progetto nasce con un obiettivo molto chiaro: trasformare questo spazio in un polo produttivo per andare a costruire un rapporto che non si è mai sviluppato in modo profondo tra il mondo della birra artigianale e la distribuzione» spiega Teo Musso, fondatore di Baladin.
La strategia è mirata e pragmatica. Invece di continuare a presidiare quasi esclusivamente i pub indipendenti, l’ambizione è quella di entrare nei locali più generalisti. «L’obiettivo è andare a rosicchiare un po’ di quei rubinetti di birre speciali che, nel 99% dei casi, non sono prodotte in Italia – continua Musso –. Credo sia uno spazio interessante, dove a distanza di quasi 30 anni dall’inizio della rivoluzione della birra artigianale, abbiamo le carte in regola per dire la nostra, sia a livello qualitativo che di visione».
Un portafoglio completo da un unico fornitore
Per rendere questa visione una realtà operativa, Open Hub si fonda su un modello collaborativo. Musso ha coinvolto cinque birrifici, tra le realtà più apprezzate del panorama nazionale: Altavia, MC77, Birrificio Perugia, Opperbacco e Ritual Lab. A questi si aggiungono due referenze Baladin (Nazionale e Super) per comporre un portafoglio di sette stili diversi.
Per un distributore, il vantaggio è immediato. «L’idea è offrire un pacchetto di sette birre che partono da un punto solo, ottimizzando logistica e rapporti. Il tutto è gestito da una rete commerciale e una logistica uniche» afferma Musso. Questo si traduce in un solo ordine, un’unica consegna e una sola fatturazione per una gamma di prodotti completa e diversificata. È una semplificazione radicale che abbassa la soglia d’ingresso per la birra artigianale nel canale della spina, rendendola una scelta commercialmente più efficiente.
Le sette firme di Open Hub
La gamma di sette birre è stata studiata per offrire una carta completa e versatile a qualsiasi locale. L’offerta spazia dalle interpretazioni più fresche come la Italian Pils di Altavia, floreale ed erbacea, e la Blanche di MC77, agrumata e speziata; si passa poi al carattere più luppolato della Pale Ale di Fabbrica Birra Perugia, con le sue note di frutta tropicale, e dell’American IPA di Opperbacco, intensamente agrumata e resinosa. La complessità è rappresentata dalla Italian Bock di Ritual Lab, una birra bruna con sentori di frutta matura e caramello. Chiudono la gamma due classici Baladin: Nazionale, una Blonde Ale pulita ed equilibrata, e Super B, una Strong Amber Ale robusta e fruttata.
Questo modello non sacrifica l’identità dei singoli produttori, anzi, la promuove. Ogni birra mantiene il marchio del birrificio che l’ha creata, con Open Hub che agisce come sigillo di garanzia del progetto.
«La valorizzazione è quella del singolo birrificio. Questo nasce per essere un incubatore» chiarisce Musso. «L’eterogeneità è un punto di forza: non si ricerca un’omologazione di gusto, ma si offre una selezione di firme brassicole distinte sotto un’unica, efficiente, organizzazione».
L’intero progetto è parte di un piano di sviluppo più ampio di Baladin, che ha ricevuto un forte segnale di fiducia dal mercato attraverso una campagna di equity crowdfunding di grande successo. Questo supporto ha fornito le basi per investimenti strategici come Open Hub, confermando la validità di un percorso che punta all’innovazione. Un ulteriore elemento di valore è l’attenzione alla filiera: grazie all’affiliazione al Consorzio Birra Italiana, tutte le birre del progetto vantano oltre il 90% di materie prime italiane.
Primi riscontri e prospettive future
A pochi mesi dalla partenza, i riscontri sono positivi.
«Il progetto è stato molto ben recepito dal mondo dei distributori. Siamo al terzo lotto di produzione e puntiamo a 2.500 ettolitri quest’anno, per preparare il terreno ai 9-10.000 del prossimo». È una crescita che poggia su basi solide e sulla consapevolezza delle sfide. «Aprire un rubinetto di birra alla spina è un’altra cosa rispetto a vendere una bottiglia» ammette Musso, evidenziando la complessità ma anche il potenziale del mercato on-trade.
In un contesto di mercato che registra una flessione generale dei consumi, Open Hub si distingue come una visione proattiva. «Penso che ci sia la necessità che le aziende siano un po’ più strutturate. Progetti come questo possono aprire nuove prospettive di posizionamento. Credo che questo possa essere un momento in cui si costruisce e si ridefinisce chi sarà leader nel comparto, portando avanti con convinzione l’idea di un’identità italiana forte e riconoscibile» conclude Musso.