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#TimossiRaccontano – Le origini: il sogno di Armando

Riassunto

Ogni grande storia parte da un sogno. Quella di Timossi inizia con Armando, un uomo capace di vedere lontano e di costruire, passo dopo passo, le basi di un’azienda che oggi è diventata un gruppo. A raccontarlo è sua figlia Elisabetta, memoria viva della famiglia e testimone diretta di un percorso che dura da oltre settant’anni.

Ogni famiglia ha le sue storie. La nostra è fatta di coraggio, di lavoro e di sogni realizzati.

Da un piccolo magazzino sulle alture di Serra Riccò a un gruppo che oggi rappresenta una delle realtà più solide del settore beverage & food in Liguria e non solo.

Con la voce di Elisabetta Timossi, figlia di Armando e testimone di tre generazioni, vi raccontiamo come tutto è cominciato, come si è evoluto e come sta cambiando oggi, nel segno della continuità e dell’innovazione.

 

Partiamo dalla storia di Armando, grande visionario della famiglia Timossi, costruttore dell’impero aziendale, per noi tutti “Il Capo”

Papà nacque nel 1931 da una famiglia di contadini che abitava nelle alture del Comune di Serra Riccò. Era il più piccolo di tre fratelli, nati rispettivamente nel 1921 e nel 1923. Aveva solo 10 anni quando suo fratello maggiore Carmelo partì per la guerra e se ne persero completamente le tracce. Non smisero mai di cercarlo. Ricordo che quando ero piccola, negli anni Settanta, papà, che era fortemente convinto che lo zio potesse essere ancora vivo ma potesse aver perso la memoria, aveva ingaggiato un investigatore privato per riuscire a rintracciarlo, ma le ricerche non erano andate a buon fine. Finché tre anni fa, in Russia, hanno ritrovato la sua medaglietta.

Come fu l’infanzia e adolescenza di Armando in quel periodo storico così turbolento?

Dal momento che i genitori avevano terreni e animali a cui badare, da piccolo spesso papà doveva restare a casa ad alimentare la stufa e a preparare da mangiare. All’epoca la scuola si trovava a Pedemonte e lui riusciva ad andarci, a piedi, solo una volta a settimana. Fu così che, come diceva lui, “prese la terza elementare portando una volta a settimana sei uova alla maestra”, guadagnandosi così la promozione. I suoi studi non proseguirono oltre, eppure, nonostante la poca istruzione, era veramente un “grande”.

Finita la guerra, a diciott’anni, prese la patente e, nel 1949, comprò il primo camioncino, il famoso autocarro FIAT 1100 di cui oggi, qui in sede, ancora conserviamo un esemplare. A quei tempi in queste zone c’erano solo animali e non circolava ancora alcun tipo di bevande, così il primo business avviato da Mario e Armando riguardò proprio il mangime per gli animali. Con il lupetto, papà si recava in pianura padana dove caricava crusca e mangime. Al rientro provvedevano a fornire tutti quei clienti che con i muli venivano a caricare i sacchi.

Più o meno negli stessi anni, sempre qui a Pedemonte, aprirono un negozio al dettaglio e all’ingrosso di prodotti locali e importati e, quattro anni dopo, vi aggiunsero la gestione di un’osteria. Nel frattempo, Mario sviluppò grande attitudine per gli affari in borsa ed iniziò a partecipare ad alcune aste, riuscendo così ad acquisire diversi terreni.

Insomma un periodo florido e intenso per tutta la famiglia…

Sì. Purtroppo però, tra fine ‘66 – inizio ‘67, lo zio Mario si ammalò. All’epoca aveva quattro figli. Furono due anni difficili tra casa e clinica, finché nel 1969 lo zio mancò. Fu così che, a soli 39 anni, papà si ritrovò solo, senza più fratelli né genitori (sua mamma era mancata a 59 anni e il papà a 63), con sette ragazzi, tra figli e nipoti, da crescere.

Fortunatamente l’attività procedeva bene e si ingrandiva sempre di più: iniziarono, infatti, a circolare le prime bevande, le prime birrette, un po’ di vino e di spumante ma, soprattutto, la gazzosa (quella famosa con la biglia nella bottiglia). E fu così che, negli anni 70, proprio nel terreno di Pedemonte, papà decise di far costruire un magazzino più grande e sovrastanti appartamenti per tutti noi.

Arriviamo agli anni ’80

Noi figli continuammo così a lavorare insieme a papà, e quelli furono anni davvero buoni in cui abbiamo fatto tanto: acquisizioni, vendite, compravendite di supermercati e altre attività. Insomma tanto lavoro ma tante soddisfazioni, tutto grazie al fiuto pazzesco che papà aveva per gli affari. Era davvero un vulcano di idee e si sentiva particolarmente forte del fatto che noi tutti lavoravamo con lui. 

Quelli erano anche anni in cui molte cose, soprattutto dal punto di vista tecnologico, stavano cambiando. Armando come prendeva queste novità?

Beh, quando ho iniziato io, per esempio, negli anni Ottanta, tutto era ancora manuale, poi hanno iniziato a subentrare i computer. Quindi abbiamo vissuto questo importante passaggio tecnologico che, papà per primo sostenne fortemente. Armando non aveva molta cultura, non sapeva magari perfettamente a cosa potessero servire certe innovazioni, ma ne capiva perfettamente l’importanza e non voleva mai restare indietro. Era decisamente lungimirante ed aperto alle novità.

Anni Novanta. Fu allora che decideste di costituire la Holding Timossi? Quali furono le motivazioni e cosa comportò?

In quegli anni cominciavamo ad avere, come dicevo, molte attività diverse non proprio legate tra loro. Fu allora che Armando capì che era necessario strutturarsi e fondare la Holding, nata ufficialmente nel 1993. Lo scopo era semplificare una struttura che stava diventando molto complessa, riunendo tutte le aziende sotto un unico “cappello”.

E dopo il vostro ingresso in azienda, il ruolo di Armando è in qualche modo cambiato?

Prima che arrivassimo noi, lui è sempre stato un venditore, ma anche dopo, fino agli anni duemila, continuò sia ad avere e coltivare rapporti diretti con clienti e dipendenti, sia a coordinare le attività e gli affari dell’azienda. Tutti lo conoscevano e lui conosceva tutti: scendeva in magazzino, in fabbrica o nei nostri punti vendita e passando in mezzo ai dipendenti, scambiava sempre qualche parola con loro; sapeva tutto di tutti, conosceva ogni nome e fatto di famiglia. Aveva un vero rapporto umano con le persone, per questo è ricordato da tutti. Così “sgrammaticato” come era, riusciva a parlare con qualsiasi persona e di qualunque argomento, dalla politica al mondo del lavoro come di qualsiasi fatto di attualità. Armando aveva un carisma incredibile che, probabilmente, nessuno di noi figli ha davvero ereditato.

Con il nostro arrivo le cose non sono cambiate. Se da una parte lasciava a noi figli lo spazio necessario a trovare il nostro posto all’interno delle aziende, dall’altra continuava a lavorare con passione e ha continuato a farlo, percorrendo centinaia di chilometri all’anno per sovrintendere a tutte le attività del gruppo, sino a Ottant’anni. Un’età che nessuno gli avrebbe mai attribuito.

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