Stefano Albenga racconta il Chianti Torre alle Tolfe: storia, amori, ritorni e 100 ettari.

Stefano Albenga racconta il Chianti Torre alle Tolfe: storia, amori, ritorni e 100 ettari.

Il chianti Torre alle Tolfe ha i piedi (le radici…) ben piantate nella storia. Il nome della tenuta pare si faccia risalire a tale Tolfo De Gricci, Cavaliere di Carlo Magno: stiamo parlando proprio di quel personaggio che è stato incoronato a Roma nell’anno 800 dal Papa Leone III, precedentemente re dei Franchi e dei Longobardi, poi primo imperatore dei Romani di un regno carolingio che comprendeva buona parte dell’Europa occidentale. Rimanendo in ambito vino, in Borgogna esistono cru importanti legati proprio al nome di CarloMagno (Corton Charlemagne, per esempio). E noi abbiamo, fieramente, Torre Alle Tolfe!

Le prime testimonianze scritte sulla produzione di vino nella tenuta risalgono al 1316. Ai tempi, giusto per dare una dimensione temporale, in Europa non esistevano pomodoro, mais, cacao, patate, fagioli, zucca… Tutti prodotti “importati” dall’America secoli dopo. Nel corso della storia il castello e i suoi casali furono più volte distrutti (come nel 1553, per mano delle soldatesche di Carlo V) e riedificati fino a raggiungere la forma attuale, frutto di un’amorevole e paziente ristrutturazione iniziata verso il 1970, quando le ultime famiglie di mezzadri avevano ormai abbandonato i casali. Con loro finiva anche un modello di vita, quello della “civiltà rurale toscana”, che era rimasto pressoché inalterato per più di 7 secoli e che si era dissolto in un decennio, a partire dagli anni ’50, con l’avvento della meccanizzazione e l’abolizione della mezzadria.


Ad oggi la tenuta si estende su 100 ettari di cui 13 a vigneti, intervallati da uliveti, boschi e prati. La posizione collinare (330 m sul livello del mare) garantisce una buona ventilazione con un microclima secco intorno alle viti. I terreni godono di una buona qualità di drenaggio, con un contenuto di sabbia piuttosto elevato (roccia arenaria). Una componente sorprendente dei nostri suoli è la presenza di vita marina, di ciottoli di spiaggia e conchiglie di mare, se si tiene conto che da tre a cinque milioni di anni fa queste aree erano costiere. Oggi si occupano della tenuta Mania e Mark, veterinari che dopo una lunga esperienza in terra britannica hanno deciso di prendere le redini di questo paradiso, e farci crescere i propri figli. Non stupisce, data la clamorosa attenzione all’ambiente, che l’azienda sia certificata Bio da una quindicina d’anni.

Il vitigno predominante è il Sangiovese, con altre varietà locali come Canaiolo, Colorino e Ciliegiolo. Il consulente agronomico è Stefano Amadeo, specialista nelle analisi dei terreni e della biodiversità floreale e insettivora nei vigneti. Con il suo aiuto i vigneti vengono concepiti come ecosistemi: cura del suolo prima di tutto e miglioramento della diversità naturale come obiettivo, per esempio di piante e impollinatori nativi. Gli interventi prevedono l’utilizzo mirato di concime organico, copertura erbacea e concimi verdi, per garantire condizioni di crescita ideali per le viti e le uve. Un accenno al vino: il responsabile della cantina, Giacomo Mastretta, perfeziona un chianti Colli senesi eccezionalmente beverino, sottile, tipico dei suoli sabbiosi e “delicati”, con una favolosa persistenza unita a un’eleganza non comune per i sangiovesi di quel territorio. Rimane il sentore di ciliegia, ma legato meravigliosamente a una sensazione più sapida che muscolosa, più affusolato che nerboruto. Sarà il destino: è un vino che affonda le radici nella storia ma che affronta il palato con una freschezza e una piacevolezza tutte contemporanee.

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